RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE: LA SOFFITTA

Pubblicato il 25 agosto 2023 alle ore 11:00

Presentiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori una nuova rubrica dal titolo "RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE", curata dalla nuova editor di Studio Limoni, Augusta de Cesari.  In questa nuova serie vi presentiamo dei racconti brevi, scritti prendendo ispirazione da alcune delle opere d'arte più famose e note, andando al di là del concetto di storia dell'arte per costruire un'arte di storie. 

 

La luna fluttua tra le nuvole sopra Montmartre, a poco a poco sparisce dietro una coltre di nubi densa di pioggia di fine inverno. Sembrano guanti di velluto che cercano di afferrarla e nasconderla, ma eccola che fugge dalla presa e ritorna a splendere piena, bianca come latte fresco delle montagne. Manon si affaccia dall’abbaino e fissa quel gomitolo lattiginoso nel cielo, col mento aguzzo appoggiato sulle sue lunghe mani; sente il pizzicorio rovente della sete.

Manon ha fame, ma l’unica cosa che può saziarla ora è solo il pensiero di sperare che la luna si sciolga e diventi una pioggia di manna. Sporgendosi di più dalla finestra sul tetto, vede i gatti di Parigi che giocano a rincorrersi tra i comignoli fumanti della città; d’improvviso una folata di vento gelido le punge le gote, investendola con la sensazione di venire trafitta di migliaia di aghi. Si ritira in casa, delusa di aver perso anche il piccolo, povero piacere di solo guardare la vita che scorre sotto di lei.

Si accascia sconsolata sul vecchio letto, nel buio di una soffitta tutta spifferi e cigolii sinistri, illuminata dal timido tremolio di una candela ormai consumata. Una volta, ormai un ricordo che sembra un sogno, quella mansarda sembrava un nido così caldo e accogliente, il piccolo regno dove lei era la regina e il suo Benoit era il re. Pensava che insieme avrebbero regnato con pace e armonia, l’abbondanza non sarebbe mancata in quel buon governo immaginario. Ora Manon sorride con malinconia, ripensando alle illusioni di quando era ancora una giovane sposa: quello che ne rimane è solo polvere.

Mentre è ancora assorta nei suoi pensieri, alza lo sguardo e incrocia lo specchio davanti a sé, non riconoscendosi più: vede quelle rughe che le solcano il viso come aratri nei campi, una ragnatela che le ricorda una mappa di strade e vicoli disegnata sulla pelle ingrigita dalla fatica, dalla fame, dall’età. A pensarci, un velo di lacrime le appanna gli occhi fino a che l’immagine del suo riflesso si fa sfocata fino a scomparire. Sente Benoit che si trascina sulle scale per raggiungere la loro soffitta, a ogni gradino un colpo di tosse sempre più violento ed eccolo che appare sull’uscio.

-Manon, cara, cosa ci fai ancora in piedi?

-Ti stavo aspettando. Sul tavolo c’è la cena.

-Dobbiamo dare l’affitto al padrone; stavolta vuole trecento franchi.

-Perché mai dobbiamo dargli questa somma? È quasi il doppio del solito prezzo.

-Siamo in ritardo, ma ho provato a parlarci. Non vuole sentire ragione anche se ho provato a spiegargli che finché il capo non ci consegna la paga al lavoro, non ho niente.

Benoit si stringe la testa tra le mani, con i gomiti appoggiati sul tavolo, sconsolato e senza speranze. È talmente stremato che non sente più la forza nelle carni per provare ira, odio, rancore. Tiene gli occhi sul piatto di lenticchie che la sua Manon gli ha preparato, cercando di tenerlo al caldo il più possibile, e anche lui scruta l’ambiente attorno a sé, vedendo la polvere dei fallimenti di una vita insieme. A saziarlo c’è solo un misero pasto di lenticchie scotte, pane nero raffermo e vino annacquato; un tempo aveva promesso alla sua giovane sposa una vita di lenzuola di cotone, piatti puliti, pane fresco ogni giorno e carni pregiate a tavola.

-Perché sei rimasto in fabbrica fino a quest’ora?

-I ragazzi vogliono organizzare uno sciopero. Siamo rimasti a discutere in riunione fino ad ora sul da farsi, alcuni vogliono occupare come stanno facendo in Germania. Sono mesi che ci spacchiamo la schiena più di prima e non cambia nulla. Salari in ritardo, aumenti promessi e mai visti, orari da schiavi: non si può andare avanti così.

Con quelle ultime parole, Benoit non si riferisce solo alle situazioni di estrema indigenza della classe proletaria parigina: alza lo sguardo verso la sua coniuge e la guarda con gli stessi occhi di un cucciolo di cerbiatto che implora pietà al cacciatore che l’ha braccato nel fitto del bosco. Non sa con quale coraggio trovare le parole per dirle che dovranno stringere ancora di più la cinghia, anzi, il cappio intorno al collo che li tiene in scacco da quando...Ormai non sanno nemmeno loro quando tutto questo è iniziato, da quanto la sofferenza sia diventato l’unico pane quotidiano sulla loro tavola. È sempre stato così, ma ora non può dirle che dovranno elemosinare legumi e pane raffermo per altri mesi. Non si può andare avanti così.

A Benoit cadono gli occhi sui piedi nudi della moglie, callosi e lividi per il freddo. Non riescono a permettersi nemmeno un paio di scarpe, nemmeno un paio di calzettoni di lana; ormai sono due mesi che ogni tanto Manon passeggia per il rione a elemosinare gli avanzi legandosi stracci e pezze ai piedi. Per Natale Benoit le ha promesso un paio di stivali nuovi, ora deve fare i conti con il fatto che i piedi di Manon arriveranno nudi alla primavera. Cerca di nascondere il senso di colpa che lo attanaglia e gli stringe la bocca dello stomaco. Non si può andare avanti così.

Eppure, Manon capisce. Un silenzio affamato vale più di mille parole e mille promesse di sazietà irraggiungibile. Anche lei si rende conto che i suoi piedi dovranno patire il freddo ancora per molte lune, ma non ha parole per dare conforto al marito e per trasmettergli tutta la sua comprensione, capisce la situazione. Non l'accetta, certo, ma la capisce. Manon si stringe il cuore tra le braccia scheletriche, sembra un passero che non ha fatto in tempo a spiccare il volo per sfuggire al gelo dell'inverno. Le sue mani violacee e nodose come rami secchi tremano per gli spifferi di vento, ma anche per il senso d'impotenza frustrante che le mette in subbuglio il piccolo stomaco. Tra sé e sé pensa: "Non si può andare avanti così."

Sconsolati, rivolgono un ultimo sguardo alla luna che illumina serena la città dormiente sotto di lei.
Come gatti randagi, si addormentano baciati dai candidi raggi che filtrano dall’abbaino. Forse, proprio come per i gatti, la povertà è la cosa che più si avvicina alla libertà. La luna continua a scappare dalle nuvole che vogliono nasconderla, corre veloce verso Ovest.
Alba: la vecchia invidiosa regina della notte spazza via gli ultimi brandelli logori del suo mantello
d’oscurità. Ricomincia un nuovo giorno, una nuova vita degli stessi stenti va avanti.

 

FINE

 

Augusta De Cesari

 

Pablo Picasso, Le repas frugal, 1904, National Gallery of Art, Washington D.C.

Courtesy Wikimedia Commons

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