I TESORI DI BRERA vol. I

Pubblicato il 26 giugno 2023 alle ore 19:05

La rubrica vuole proporsi come una piccola guida per comprendere meglio i capolavori dell'arte, custodita in una delle istituzioni più importanti nella città di Milano, la Pinacoteca di Brera

La Pinacoteca di Brera di Milano è uno dei centri più importanti in Italia per la conservazione dei beni culturali e l'esposizione dei capolavori dei grandi maestri del passato. Ogni sala è ricca di tesori inestimabili, ognuno che rappresenta un tassello nell'immenso mosaico della storia dell'arte. 

Parliamo della sala XXIV della Pinacoteca di Brera, dove sono conservati un Raffaello con lo Sposalizio della vergine, Bramante con il suo Cristo alla colonna e la pala d’altare di Piero della Francesca, ai più conosciuta come Pala di Brera, il cui titolo in realtà sarebbe Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro.

Dopo essere passati per le sale di Mantegna, Bellini, Carlo Crivelli, la sala XXIV sembra spoglia e povera: un cubo bianco e asettico illuminato da una lampada a forma d’uovo che penzola dal soffitto, con solo tre opere esposte. In realtà, l’atmosfera che si crea è intima e di forte introspezione in cui tre opere dialogano tra loro, tutte nate dall’intelletto e create dalle mani di tre grandi artisti, nomi importantissimi del Rinascimento Italiano.

Appena entrati troviamo sulla destra la pala di Piero della Francesca, in cui la scena rappresentata è una silente sacra conversazione con la Madonna in trono al centro e angeli e santi attorno a lei, formando un semicerchio alle sue spalle. Sulle ginocchia della Vergine Maria c’è Gesù Bambino, addormentato e nudo, vestito solo con una collana e un ciondolo di corallo, dal colore rosso richiamante il sangue della passione di Cristo.

Piero della Francesca, Madonna col Bambino e santi, angeli e Federico da Montefeltro (Pala di San Bernardino)1472 - 1474, tempera su tavola

Courtesy Pinacoteca di Brera

 

Il corallo nasconde un significato simbolico molto interessante: nelle Metamorfosi di Ovidio, si racconta della sua origine mitica, nato dal sangue colato dalla testa della mostruosa gorgone Medusa, dopo essere stata decapitata da Perseo. Il medico Dioscoride Pedanio ne parla nel suo codice Codex Aniciae Julianae come un'erba medicinale nominandolo “albero marino” dai poteri curativi, tant’è vero che nell’antichità molti credevano che il corallo potesse purificare l’acqua del mare dai veleni e renderla potabile o utilizzabile per l’irrigazione. Nel manuale di alchimia Atalanta Fugiens di Michael Meier, scritto intorno al 1617, il corallo rappresenta l’origine, la materia prima grezza e non ancora cristallizzata nelle forme del mondo. E così è per il corallo di Gesù bambino: l’origine come figlio di Dio ed elemento purificatore perché secondo le cronache cristiane, la morte di Cristo è il sacrificio da lui compiuto per l’espiazione dei peccati del mondo.

Nonostante la tenerezza del bambino che dorme sereno adagiato sulle ginocchia della madre, Piero della Francesca aggiunge degli elementi che indicano il destino del Cristo: alle spalle di Maria, tra i santi e gli angeli, c’è San Francesco che mostra le stimmate e una croce, il memento mori per ricordare la Passione di Cristo. Uno dei miracoli che si raccontano nella biografia di San Francesco, la Legenda Maior scritta in latino da Bonaventura di Bagnoregio, viene riportato:

«Pregando il beato Francesco sul fianco del monte della Verna, vide Cristo in aspetto di serafino crocefisso; il quale gl'impresse nelle mani e nei piedi e anche nel fianco destro le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo».

Un altro promemoria alla Passione è l’uovo che pende sul capo della Vergine Maria, attaccato ad un’esedra semicircolare a forma di conchiglia. L’uovo, nella simbologia cristiana, è legato al significato di rinascita della Pasqua, l’atto finale della Passione di Cristo che ritorna alla vita vincendo sulla morte. La conchiglia che lo protegge sottolinea questo concetto, visto che nell’iconologia cristiana la conchiglia è sinonimo della tomba che protegge le spoglie mortali dell’uomo prima della resurrezione della carne, coincidente con il Giudizio Universale.

I simboli che il cristianesimo ha ripreso sono figli del sincretismo e la stratificazione di riti e simboli pagani: infatti la conchiglia è presente nella mitologia classica greco-romana come simbolo di fertilità e procreazione della dea Venere, nata dalla schiuma del mare e ritratta adagiata sulle valve di una conchiglia. Alla fine, è tutto legato al concetto del venire al mondo: il Verbo si fece carne e il Figlio di Dio venne al mondo nelle spoglie di un bambino e quel bambino da uomo è resuscitato secondo le scritture.

 

Donato Bramante (nato Donato di Pascuccio), Cristo alla colonna, 1487-1490, olio su tavola

Courtesy Pinacoteca di Brera

 

La Pala di Brera di fronte a sé, in parallelo, ha il Cristo alla Colonna del Bramante, rappresentazione della flagellazione che Gesù subisce al tempio prima di venire crocifisso sul Golgota. Questa disposizione fa sì che nascita e morte, l’Alpha e l’Omega si guardino negli occhi e si studino a distanza. Il Bramante crea un’atmosfera cupa e di forte impatto psicologico, in cui si legge sul volto del Cristo tutta la sua sofferenza durante la flagellazione. Se dividiamo il viso di Cristo a metà, la parte destra e più in ombra sembra un teschio per via dell’orbita infossata dell’occhio, lo zigomo aguzzo e la guancia magra e scavata.

La colonna a cui è legato Cristo non è solo la rappresentazione della colonna fisica, anche qui la simbologia e l’iconologia cristiana nascondono un’interpretazione più profonda. Nell’Antico Testamento, nel libro di Giobbe, viene descritto come solo Dio nel Giudizio Universale possa abbattere le colonne che sostengono il mondo, essendo lui l’Alpha e l’Omega dell’universo a cui ha dato la genesi. Nel Libro dei Giudici, si racconta di Sansone dalla forza sovrumana che abbatte il tempio dei suoi aguzzini, i Filistei, mentre questi ultimi celebrano un sacrificio al dio Dagon, richiamando l’atto di Dio come Giudice. Nel libro dell’Esodo, invece, la colonna è la guida che indica la strada al profeta Mosè al popolo di Israele fuori dalla terra d’Egitto verso la terra promessa.

A fronte di ciò, nella tavola del Bramante la colonna è simbolo della forza del sacrificio di Cristo che, nell’esperienza della carne dell’uomo, affronta i suoi ultimi passi verso la morte, per far sì che si compia il miracolo della resurrezione pasquale. Insieme alla pisside d’oro in secondo piano che richiama il sacrificio dell’Eucarestia, anche la colonna rappresenta il pilastro su cui si fonda il rito della Chiesa cristiana, dogma fondamentale della religione rivelata.

Al centro della sala, a fare da ago della bilancia tra nascita e morte, c’è la tavola di Raffaello Sanzio raffigurante lo Sposalizio della Vergine, episodio che si racconta nei Vangeli Apocrifi: il pretendente che avrà la mano di Maria sarà colui che verrà benedetto da un segno divino, in questo caso San Giuseppe perché Dio fa fiorire un ramoscello secco, mentre gli altri pretendenti rimangono con i loro bastoncini non miracolati. In questo caso, l’episodio dello sposalizio al centro tra le due precedenti opere rappresenta l’unione di due elementi opposti, ma uno tanto fondamentale per l’altro per far sì che entrambi esistano nell’equilibrio ontologico della condizione degli elementi uguali e contrari, come l’inizio e la fine. Alpha e Omega vengono tenuti insieme sullo stesso piano da uno sposalizio metafisico, per cui l’anello che San Giuseppe mette al dito di Maria diventa il cerchio dell’esistenza umana, secondo la religione cristiana per cui vita e morte coesistono anche al momento del trapasso.

 

S.F.C.

Raffaello Sanzio Sposalizio della Vergine, 1504, olio su tavola

Courtesy Pinacoteca di Brera

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