RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE: LE DUE MADRI

Pubblicato il 2 ottobre 2024 alle ore 11:00

Ripresentiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori una nuova forma della rubrica iniziata l'anno scorso intitolata "RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE", a cura della editor di Studio Limoni, Augusta de Cesari.  In questa serie vi presentiamo dei racconti brevi, scritti prendendo ispirazione da alcune delle opere d'arte più famose e note, andando al di là del concetto di storia dell'arte per costruire un'arte di storie. 

 

Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, Galleria d'Arte Moderna, Milano

Courtesy Wikimedia Commons

 

La notte è scesa ormai da ore sul villaggio di Alpenaga e il freddo dell’autunno si fa sentire con gli spifferi che trapassano tra le tavole di legno del tetto. Un rumore di piedini piccini si fa largo sul pavimento, scricchiolando e cigolando.

“Mamma, mamma!” la vocetta di Giuseppe sveglia Marta dal suo sonno profondo; quella è stata una giornata di lavoro più usurante del solito nelle stalle del padrone, una bella dormita è l’unico pezzo di paradiso che può godersi prima di ripartire verso un altro dì di manovalanza contadina alla stregua dell’inferno. Ora anche l’appagante paga del sonno le viene tolta non solo dai capi, ma anche da suo figlio Giuseppe, sangue del suo sangue, carne della sua carne.

“Cosa c’è, Bepi, hai fatto ancora un brutto sogno?”

“No, mamma! Sai che giorno è domani? Lo sai, eh? Vero che lo sai?”

“Domani è mercoledì, Bepi, e tu devi andare a scuola, quindi ora fila a letto.”

“È il mio compleanno, mamma! Mi racconti ancora la storia di quando sono nato?”

Accidenti, domani è davvero il compleanno di Giuseppe e Marta se ne stava completamente dimenticando. Marta si accomoda sul letto sedendosi sui cuscini appoggiati alla testata e fa cenno al piccolo di sedersi accanto a lei sotto le coperte. Bepi si lancia affianco alla sua mamma con la luce negli occhi che solo un bambino può avere, appoggia la sua testolina bionda e ricciolina sul petto di Marta e si lascia coccolare dalle braccia di una madre che ama suo figlio più di ogni altra cosa, nonostante la stanchezza e lo stremo.

Marta comincia a raccontare e Bepi ascolta al massimo dell’attenzione.

“Allora, fammi pensare. Circa nove anni fa, c’era un paesino di montagna che c’è ancora oggi e si chiama…

“Alpenaga!

“Bravissimo! Si vede che sei stato attento le volte passate. Allora, c’era il villaggio di Alpenaga e un giorno di dicembre c’è stata una terribile nevicata: tutto era coperto di bianco e non si vedeva niente, nemmeno a un palmo. Poco più fuori dal villaggio, c’era una casetta piccola piccola, tutta di legno dove viveva Marta, una giovane vedova che aspettava un bambino. Il marito Riccardo se n’era andato pochi mesi prima, perché era stato travolto da una frana insieme ad alcune vacche che stava portando al pascolo…

“Il papà mi assomiglia, mamma?

“Vorrai dire se tu assomigli a lui? Comunque sì, gli assomigli tanto. Anche lui aveva una testa tutta bionda e sembrava un agnellino, era bellissimo accarezzarla, tutta soffice. Quando ci siamo sposati, lui era così emozionato che le sue guance erano diventate tutte rosse. Dio, era proprio un angelo! Ma ora fammi andare avanti, se no perdo il filo. Marta era tanto triste e tanto sola, non sapeva come fare a campare con un bimbo in arrivo, vacche da mungere e pascere, una casa da mantenere e aveva anche le capre del padrone a cui badare! Insomma, un inferno. Quella sera di bufera Marta aveva cenato con brodo di pollo e pane vecchio, che aveva lo stesso sapore della segatura, finché a un certo punto sentì la vacca nella stalla che muggiva disperata. All’inizio pensava che fosse il rumore della bufera di neve che picchiava contro la baita, ma ascoltando attentamente aveva realizzato che era proprio la vacca Minù. Marta raccolse le ultime forze che le rimanevano, mise gli scarponi pre proteggersi dalla neve alta, si coprì meglio che poteva e uscì di casa per raggiungere la stalla.

La trovò sdraiata sulla paglia che si contorceva come un’ossessa e muggiva, muggiva, tanto che sembrava chiedere aiuto, pareva proprio un malato in agonia che chiedeva la pietà dell’estrema unzione. In realtà, Minù stava solo partorendo e Marta corse in casa a prendere garze calde e acqua per aiutare la vacca a sgravarsi del vitellino che spingeva per uscire. Così prese lo sgabello per la mungitura e si sedette dietro la vacca, la testolina del vitellino si era già fatta largo e ora si vedevano gli zoccoli.

Marta prese il piccolo per le zampe e cercava di tirarlo mentre Minù spingeva. In poco meno di un’ora c’era al mondo una nuova vita e Marta accucciò il piccolo vicino al ventre di sua madre; Minù leccava via la placenta addosso a suo figlio che cercava di imitare i muggiti della sua mamma. Intanto, Marta prese le garze calde per coprire il vitello, ma in quel momento sentì uno strano calore tra le gambe: lo sforzo per il parto della vacca era stato talmente tanto che anche a lei si erano rotte le acque.

Come poteva fare? La nevicata si era fatta violenta, il vento era tempesta e nessuno sarebbe corso per aiutarla, tantomeno lei sarebbe riuscita a raggiungere la casa del medico al villaggio con tutta quella neve. Lì con lei c’era solo una bestia che la guardava con i suoi occhioni all’ingiù, come per dire: “Ci siamo passate tutte, ora tocca a te, ma non contare su di me.” Doveva arrangiarsi da sola, allora si sedette con le gambe leggermente alzate e divaricate sopra un panno e anche lei iniziò a spingere. Il piccolo sembrava non volerne sapere di nascere e Marta gridava per il dolore e lo sforzo, Minù la incitava muggendo ogni tanto, il massimo dell’aiuto che poteva offrire.

Marta continuava a spingere e a gridare, a gridare e a spingere e un pianto riempì la stalla: eccolo lì, il suo bambino che tremava e piangeva fino a farsi scoppiare i polmoni. “Questo qua sarà una peste”, pensava la giovane mamma, ma più lo guardava più si innamorava di quel fagottino tutto rosso in viso. Se lo strinse al petto, avvolto nel calore delle garze e iniziò a cullarlo dolcemente.

Quella notte, nel villaggio di Alpenaga, due vite si erano fatte strada venendo al mondo durante la tempesta. E uno sei proprio tu, Giuseppe mio.”

“Mi vuoi bene anche se dici che sono un discolo, mamma?”

“Ma che domande! Certo che sì, Bepi, ti vorrò sempre bene e anche quando sarai grande resterai sempre il mio bambino.”

Bepi sorride, anche quest’anno la sua mamma gli racconta la storia di quando è nato e per ora, solo questo conta.

“Buona notte, mamma.”

“Buona notte, amore mio, e buon compleanno.”

 

Augusta De Cesari

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.